Correlazione tra Obesità e Malattia Paradontale

Correlazione tra Obesità e Malattia Paradontale

Tra le patologie più frequenti al mondo annoveriamo la malattia paradontale e l’obesità : esse affliggono sia la popolazione giovanile, sia quella adulta, sia la popolazione anziana. Considerando il rapporto che lega l’obesità e la parodontite ad al

Il legame tra queste due malattie è stato oggetto di studi fin dal 1977(1) e da allora molti autori se ne sono interessati, mettendo in luce l’importanza clinica e sociale di questo legame(2).
Perlstein e Bissada lo studiarono in quattro gruppi di topi che comprendevano animali sani e animali con caratteristiche alterazioni genetiche: ipertesi, obesi e obesi-ipertesi.

Una delle conclusioni più importanti di questo studio fu che l’obesità in associazione con un quadro ipertensivo, oltre a provocare iperplasia ed ipertrofia della tonaca dei vasi sanguigni parodontali, peggiora significativamente il decorso e la gravità della malattia parodontale. Reperti autoptici comuni nei topi obesi ed ipertesi sono l’ispessimento della tonaca intima dei vasi e presenza di vacuoli lipidici: la diminuzione del supporto ematico ai tessuti parodontale rende il quadro patologico più severo e destruente.

Studi più recenti hanno confermato l’associazione tra le due malattie anche nell’uomo. Saito et al. in un loro studio del 2001(3) studiarono questo legame in 643 persone apparentemente sane, divise in quattro gruppi a seconda del loro indice di massa corporea o BMI. I risultati furono che l’obesità diventa fattore di rischio per la malattia parodontale se oltre a caratterizzarsi per un elevato BMI, è caratterizzata da un elevato rapporto waist to hip, cioè se è obesità addominale o viscerale.
Un altro studio recente che conferma la correlazione tra le due patologie in questo senso è quello condotto da Al-Zahrani et al.(4). L’obesità – BMI ≥ 30 – diventa fattore di rischio per la malattia parodontale soprattutto quando associata ad aumento di waist circumference – 102 cm nell’uomo e ≥ 88 cm nella donna.
È bene sottolineare che la correlazione tra parodontite ed obesità è tanto più stretta quanto più è aumentato il grasso viscerale ed addominale, mentre diventa meno significativa se si considera solo l’aumento del BMI e del grasso sottocutaneo o la diminuzione della massa magra – fat free mass -(5).

Si conclude quindi che le alterazioni metaboliche che qualificano l’obesità aumentano il rischio di sviluppare la malattia parodontale, per cui l’aumento eccessivo di tessuto adiposo localizzato soprattutto in sede addominale, deve essere considerato fattore di rischio per la parodontite accanto agli altri, ormai noti, fattori di rischio: diabete, fumo, sesso, età… Il legame tra la malattia parodontale e l’obesità si sviluppa anche nel senso opposto. Non solo, infatti, il soggetto obeso è predisposto ad ammalare di parodontite in misura maggiore e più grave rispetto alla popolazione sana, ma il soggetto affetto da parodontite cronica presenta molto più spesso quadri alterati di trigliceridemia(6).

Come dimostrato nello studio sperimentale condotto da Feingold et al. le endotossine batteriche sia ad alte, sia a basse dosi – 100 ng/100 g di peso corporeo – agiscono alterando rapidamente la quantità di trigliceridi nel sangue degli animali osservati. In presenza di basse dosi di lipopolisaccaridi di origine batterica aumenta sia la sintesi de novo di acidi grassi sia la lipolisi a cui consegue un’aumentata sintesi di trigliceridi.
Quando la dose di tossine invece è maggiore, anche i processi di clearance, cioè del catabolismo dei trigliceridi vengono alterati, in particolare diminuiti; questo porta ad un ulteriore aumento di queste particelle nel sangue. L’enzima chiave di cui viene diminuita l’attività è una liproteinlipasi.

L’OBESITÀ PREDISPONE ALLA PARODONTITE
Il legame tra queste due patologie è sostenuto da una serie di variabili ed eventi metabolici che ricorrono durante il loro decorso. Nel soggetto obeso, per una serie di motivi che vengono ora presi in considerazione, si creano delle condizioni predisponenti all’esordio della malattia parodontale e ad un suo decorso più celere e destruente. Si crea una condizione per cui gli stessi batteri parodontopatogeni che colonizzano il cavo orale di un soggetto normopeso, riescono ad evocare una reazione da parte dell’ospite obeso più destruente.

Il sistema immunitario ed infiammatorio del soggetto malato reagisce in modo così violento che, invece di proteggere i tessuti, li danneggia rapidamente. Questo accade come conseguenza delle alterazioni patologiche proprie dell’obesità. I fattori che spiegano come l’obesità sia un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia parodontale vengono ora analizzati ad uno ad uno, anche se devono essere presi in considerazione come strettamente connessi e correlati tra di loro.

L’alimentazione scorretta
Uno dei primi fattori da considerare per spiegare come l’obesità conduca a parodontite cronica, è la non corretta alimentazione del soggetto obeso.
Spesso infatti, il malato si nutre eccessivamente di cibi ricchi in grassi saturi e zuccheri, e poveri di vitamine, acidi grassi polinsaturi, carotenoidi e calcio.

In uno studio sperimentale condotto da CW Cutler et al (7) si è rilevato che l’ipertrigliceridemia, provocata dall’alimentazione scorretta o da altri fattori, ha come conseguenza quella di modulare la produzione di IL- 1β da parte dei leucociti polimorfonucleati – PMN – quando essi sono stimolati da P. Gengivalis, aumentandola.

Questo è un dato molto importante, ma qual è il motivo per cui l’aumento di trigliceridi conduce ad un aumento della produzione di IL-1β?
Innanzi tutto bisogna ricordare che la produzione delle citochine anti e pro infiammatorie è conseguente a particolari tappe metaboliche che coinvolgono molecole lipidiche. Sono proprio dei derivati lipidici che svolgono un ruolo fondamentale nella modulazione delle risposte infiammatorie(8): essi sono gli eicosanoidi, metaboliti provenienti dall’acido arachidonico.

A questo punto diventa importante anche considerare che nella dieta del paziente obeso solo l’1-2% dell’apporto calorico è dato dall’inserimento di acidi grassi polinsaturi nella dieta.
Le molecole derivate dal metabolismo degli acidi grassi polinsaturi sono differenti da quelle derivate dai grassi saturi: pur facendo parte delle stesse famiglie, infatti, esse hanno diversi ruoli.

Tra i diversi leucotrieni, trombossani, prostaglandine e prostacicline alcuni modulano la risposta infiammatoria attivandola ed altri inibendola.
Uno dei casi più esemplificativi è quello di PGE2 e di PG3 e TXA3: tutte queste molecole fanno parte della famiglia degli eicosanoidi, ma, mentre PGE2 è proinfiammatoria e particolarmente attiva nella distruzione dei tessuti parodontali durante la malattia, le altre due citochine sono anti-infiammatorie e protettive.

Queste ultime, infatti, inibiscono il rilascio di ac. arachidonico dalle membrane cellulari e la conseguente formazione di citochine; inoltre inibiscono l’aggregazione piastrinica ed abbassano i livelli di colesterolo, delle lipoproteine LDL ed aumentano le HDL(8). Una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi, presenti in particolar modo nel pesce, conduce ad una produzione selettiva di citochine anti-infiammatorie e protettive anche nei confronti di patologie cardiovascolari.

Conseguenza dell’alimentazione ricca di grassi saturi, invece, è la selezione della produzione di molecole pro-infiammatorie: esse stimolano l’attività secretiva delle cellule coinvolte nella risposta dell’ospite ad insulti batterici, tra le quali sono annoverati anche i PMN. Per spiegare invece l’importanza di assumere giornalmente quantità adeguate di vitamina C e carotenoidi, risulta necessario ricordare il ruolo delle specie reattive ossidanti (ROS) nell’ambito della risposta infiammatoria. I leucociti polimorfonucleati, durante la fagocitosi delle specie batteriche patogene, producono vari tipi di ROS, che, oltre ad essere rilasciati nel fagosoma, si disperdono nell’ambiente circostante: O2-e HOCl sono i principali.

Queste molecole contribuiscono alla distruzione dei tessuti parodontali danneggiando il DNA e le proteine cellulari, provocando la perossidazione lipidica, l’ossidazione di importanti enzimi – come le antiproteasi – e stimolando la produzione di citochine pro-infiammatorie da parte di monociti e macrofagi(9). Inoltre i ROS stimolano l’attivazione degli osteoclasti.

L’introduzione attraverso una dieta equilibrata di agenti antiossidanti serve a limitare i danni dovuti alla dispersione di queste molecole nell’ambiente parodontale e non solo. Si è dimostrato che esiste un’associazione statisticamente significativa tra il minor consumo di vitamina C e malattia parodontale (OR = 1.19; 95% CI: 1.05-1.33), soprattutto nei soggetti fumatori(10)(11): essa riesce in particolare a proteggere i tessuti parodontali dai radicali liberi.

Recenti studi hanno dimostrato che la vitamina E ha un ruolo mitigante l’infiammazione e la distruzione delle fibre collagene durante la parodontite(12): essa, pur avendo una mobilità e quindi un’efficacia molto minore rispetto alla vitamina C, riesce a stabilizzare le membrane cellulari neutralizzando l’azione dei radicali liberi. Anche i carotenoidi, essendo antiossidanti, sono importanti per mitigare i danni provocati dai ROS; il loro ruolo però non è stato ancora ben approfondito.

Il glutatione ridotto, invece, modula la risposta infiammatoria andando a bloccare la produzione di ulteriori citochine. Un’altra importante funzione della vitamina C e dei β- carotenoidi, ma non della vitamina E, è quella di diminuire i livelli della proteina C reattiva – PCR -, una delle molecole maggiormente responsabili della modulazione dei processi difensivi: questi antiossidanti abbassano i livelli delle lipoproteine LDL ossidate che contribuiscono a mantenere attivi i processi infiammatori (13).

Si intende ora approfondire ulteriormente l’importanza dell’assunzione di sufficienti quantità di ac. ascorbico nella dieta del soggetto obeso e nel soggetto sano al fine di prevenire la malattia parodontale.
La dose giornaliera consigliata – RDA – è di 60 mg per gli adulti sani e per i fumatori è consigliata l’assunzione di altri 35 mg al fine di ridurre i danni ossidativi provocati dal fumo stesso(10).

La grave carenza di questa vitamina conduce allo scorbuto: è emblematico che una delle conseguenze di questa malattia sia l’esordio di gengivite ulcerativa, rapida progressione di tasche parodontali preesistenti e perdita precoce e rapida degli elementi dentari.
Nei preparati istologici provenienti dai tessuti parodontali si osserva la carente produzione di fibre collagene e l’aumento di permeabilità delle mucose non cheratinizzate alle tossine batteriche a cui consegue una diminuita capacità riparativa e difensiva da parte dei tessuti.

I leucociti PMN, poi, necessitano di vitamina C durante tutte le loro attività difensive: questa serve a mantenere buona attività chemiotattica, a rendere più efficiente la fagocitosi, a preservare la morfologia cellulare dei neutrofili e alla neutralizzazione degli agenti ossidanti, come visto poco fa(14).
Se questa manca si assiste alla diminuzione della loro mobilità chemiotattica e della loro attività di fagocitosi oltre che ad alterazioni a livello strutturale dei PMN stessi. Si osserva quindi che, in assenza di vitamina C, avviene il deterioramento a vari livelli delle “barriere” che l’organismo sano ha nei confronti dell’attacco batterico(10).

Rimane ora da analizzare il ruolo del Calcio e come la carenza di questo minerale possa influenzare la salute parodontale del soggetto obeso.
La dose giornaliera raccomandata è di circa 800 mg per gli adulti: se un individuo non lo introduce nelle sua dieta a sufficienza può andare incontro ad un peggioramento delle condizioni di salute parodontale(15). Questo può accadere in quanto una condizione di ipocalcemia porta a secrezione di PTH o paratormone a cui consegue un riassorbimento osseo che coinvolge anche i processi alveolari.

La qualità ossea quindi peggiora anche a quel livello e basta un insulto batterico modesto per avere un danno più grave e rapido, con conseguente perdita di stabilità degli elementi dentari. Questa correlazione è particolarmente evidente nel gruppo di individui di sesso femminile nella fascia di età compresa tra i 20 e i 39 anni: all’abbassamento dei livelli di calcio nel sangue, si ha un maggior rischio di sviluppare malattia parodontale severa. Si può quindi asserire che la carenza di calcio non è la principale causa della parodontite cronica, ma che ha un effetto indiretto sul suo sviluppo 

Studio Dentistico Calabria

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